Canti anarchici, letture e ricordi per l’addio a Claudio Venza a Trieste

November 7, 2022

Riportiamo il testo integrale dell’articolo di Giovanni Tomasin pubblicato il 06.11.2022 su «Il Piccolo» in occasione della cerimonia laica di commiato che si è tenuta a Trieste sabato 5 novembre:

Canti anarchici, letture, ricordi per l’addio allo storico Venza
In tanti, muniti di bandiere, per l’ultimo saluto al professore e attivista triestino. Gli amici e compagni: «una vita di studio, lotta e umanità. Ci ha insegnato molto»

I suoi compagni e compagne l’hanno accolto con il canto anarchico “Figli dell’officina”. La sala aconfessionale del cimitero di Sant’Anna, ieri mattina, era irta d’un bosco di bandiere rossonere e piene della piccola folla venuta a salutare Claudio Venza, studioso e militante mancato giovedì scorso.

Nell’arco della sua vita Venza ha compreso e collegato le esperienze dell’antifascismo d’anteguerra – a partire dall’amicizia con il reduce di Spagna Umberto Tomassini -, quelle del ’68 triestino di cui lui stesso fu un protagonista, e l’esperienza anarchica contemporanea, incarnata a Trieste dall’inesausta attività del circolo Germinal. Tutto questo ha ripercorso Venza nel suo testamento, «messaggio a compagni e compagne, non solo del Germinal», cui ha dato lettura Elio Germani. Questa la conclusione: «sono convinto che, malgrado il clima di repressione pretestuosa, il lavoro ripreso con il nome Germinal nel 1946 possa continuare nel futuro prossimo, quello più vicino ma anche quello più lontano. Potrà essere fonte di sorprendenti cambiamenti in un ambiente cittadino apparentemente indifferente o distante. Adelante companeros, Claudio».

I compagni del circolo hanno declamato il comunicato in cui lo ricordano: «Claudio era storico, era sessantottino, era bravo, era buono, generoso ma era soprattutto un anarchico. Cosa significa questo? Che il carattere era quello di una persona disponibile al dialogo, al confronto, alla solidarietà, ma anche che di fronte ai soprusi, alle prepotenze, alle imposizioni degli apparati e anche dei singoli non si faceva piegare».

Di questa lunga vista di lotta e umanità sono emersi durante la cerimonia tanti episodi: dalla prima multa, comminata nel 1968 per aver distribuito in piazza il foglio “L’anti-Piccolo” (ricordata da Clara Germani), all’ultima, quando nel 2020 – già provato dal male – uscì a vendere i numeri del “Germinal”. Ma anche le mobilitazioni, quelle dei primi anni Settanta per la verità sull’assassinio dell’anarchico Pinelli, poi le marce antimilitariste, gli infiniti studi sul rapporto tra anarchia e potere, a partire da quell’esperienza catalana di cui era uno dei massimi esperti accademici, e ancora il lavoro per riallacciare i contatti con gli anarchici dell’Europa orientale dopo la caduta del Muro di Berlino.

Di Venza è uscito anche il lato umano, l’inesauribile disponibilità, generosità, ma anche la cocciuta determinazione che lo portava a spronare senza sosta compagni e amici a darsi da fare. Massimo Varengo della Federazione anarchica italiana l’ha ricordato così: «Per la sua disponibilità, la sua tenerezza, il suo approccio per i compagni. Ma per il suo tamponamento continuo, che era una delle sue caratteristiche forti. Questo aspetto era ben conosciuto ma secondario rispetto alla ricchezza di contenuti, delle riflessioni che Claudio ci ha offerto nella sua vita». Varengo ha ricordato anche il ruolo “ecumenico” giocato da Venza nel poliedrico panorama dell’anarchia in Italia: «Si è detto che apparteneva alla Fai, ma io non credo appartenesse solo alla Fai, perché Claudio era trasversale, aveva rapporti e faceva cose con tantissime anime del movimento». “Quelli del ’68”, il sodalizio di reduci sessantottini di Trieste che Venza aveva contribuito a fondare, ha ricordato come – pur nella dialettica aspra di quegli anni – gli scontri non superarono mai il «livello del rispetto»: «Abbiamo una testa e quindi il dovere di saperla usare. E Claudio ce l’ha insegnato».

Clara Germani l’ha salutato con una definizione che è stata data di lui: «un misto di eterno insegnante, zio buono, e un uomo con una missione».

All’uscita della bara dalla sala è stato intonato il canto, caro ai cuori libertari, “Addio Lugano bella”.

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